L’edizione mondiale più discussa di sempre lascia in eredità un impianto che potrà aiutare, per eterogenesi dei fini, il calcio a essere più sostenibile.
Viaggio ai confini di Marocco-Spagna
Gli exclave di Ceuta e Melilla e una generazione di calciatori cresciuta nella penisola iberica. Se questa partita non sarà una partita come le altre, non è colpa della politica. L’obiettivo è solo sportivo: portare ancora una volta una squadra africana tra le prime otto di un mondiale.
Tra il nazionalismo della Serbia e il multiculturalismo della Svizzera ci sono molti franchi
Due buone sqadre con un comune destino, quello delle grandi incompiute. Per anni si è insistito molto sulla rivalità tra i serbi e gli svizzeri di origini balcaniche. C’è, ma l’economia ha creato un’alleanza così solida che non c’è polemica che tenga.
Il bluff del ranking Fifa
Le difficoltà ai Mondiali di Belgio e Germania (e non solo) evidenziano il problema – irrisolvibile? – di classificare le Nazionali.
“Se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa”. Bugie comprese.
La libertà di stampa “a tempo” dei Mondiali
Non ci saremmo aspettati la rivisitazione della celeberrima trasmissione di Piero Chiambretti per Italia 90 quando, con la squadra che diede vita al successo di “Prove tecniche di trasmissione”, si era trasferito per una decina di giorni nei vicini Emirati Arabi Uniti mixando le immagini prese in prestito dalla tv locale con le meditazioni pseudofemministe di Wanna Marchi sulla condizione della donna negli Emirati. Insomma, se nessuno immaginava di vedere le paradossali sfilate di moda nel deserto, le corse di cammello o Chiambretti travestito da Lawrence d’ Arabia, è davvero poco doversi accontentare di tre sfondi adatti più per il computer di casa che per la cornice di un mondiale.
Al nono Mondiale di fila la Corea del sud non dimentica gli “eroi” perdenti
L’11 giugno 1954 i convocati partirono in treno dalla capitale per un viaggio infinito che ebbe come prima tappa il porto di Busan dove una nave li avrebbe portati, per un beffardo destino, ancora in Giappone. Peccato che il primo volo previsto, un aereo militare americano con base a Tokyo, poteva accogliere solo 11 giocatori: due giorni di viaggio con soste per il rifornimento a Manila, Hanoi, Calcutta, Karachi, Siria e perfino in Italia. Non andò meglio a chi era sul secondo aereo arrivato a Zurigo appena poche ore prima della partita, tra jet lag e muscoli massacrati dalla stanchezza. Circostanze che non aiutarono i coreani: se battere il Giappone fu facile, confrontarsi con l’Ungheria di Puskas si rilevò un’impresa impossibile.